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Corte d'Appello di Bologna > Licenziamento disciplinare
Data: 31/12/2003
Giudice: Varriale
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 476/03
Parti: Patrizia I. / Poste Italiane SpA
LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - COMPORTAMENTO EXTRALAVORATIVO. NATURA DISCIPLINARE DEL LICENZIAMENTO: SUSSISTENZA - IMMEDIATEZZA E TEMPESTIVITA': ELEMENTO COSTITUTIVO DELLA GIUSTA CAUSA - PROTRAZIONE DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA PER UN PERIODO NOTEVOLE OLTRE


La società Poste Italiane, venuta a conoscenza dei rinvio a giudizio di un sua dipendente per fatti estranei al rapporto di lavoro nel febbraio 1998, ed avutane formale conferma nel settembre dello stesso anno, nel novembre la licenziava ai sensi dell'art. 2119 e dell'art. 79 del CCNL, senza preventiva contestazione disciplinare. Il rapporto peraltro proseguiva fino al 8 febbraio 1999, data in cui la stessa veniva allontanata dall'ufficio. Il licenziamento veniva impugnato avanti al Tribunale di Bologna, che peraltro respingeva il ricorso, escludendo la natura disciplinare di quello intimato formalmente nel novembre 1998; ritenendo che, nonostante la lavoratrice avesse ininterrottamente continuato a lavorare per tre mesi, non vi fosse stata revoca di detto licenziamento essendo per quest'ultima necessaria la forma scritta; dichiarando che l'invito ad allontanarsi da posto di lavoro non fosse un licenziamento orale, ma una richiesta di dare attuazione ad una decisione già assunte. Di diverso avviso si è mostrata la Corte d'Appello di Bologna che ha invece ritenuto illegittimi entrambi i licenziamenti (quello scritto e quello orale) e colto l'occasione per fare il punto di una serie di problematiche in tema di licenziamento individuale, ribadendo - ma con diverse argomentazioni - posizioni in parte già espresse in un caso analogo nei confronti dello stesso datore di lavoro (App. Bologna 12 marzo 2001, n. 116/01). La Corte ha innanzi tutto contrastato la tesi aziendale secondo cui non si tratterebbe, nel caso di specie, di un licenziamento disciplinare perché a fondamento dello stesso non vi sarebbe un inadempimento degli obblighi lavorativi, ma "una giusta causa", diversamente disciplinata dall'art. 79 del CCNL, e dall'art. 2119 cod. civ. Richiamando numerose decisioni della Corte di Cassazione (Sezioni Unite 1.6.1987, n. 4823, che a loro volta richiamano Corte Costituzionale n. 204/1982; v. anche Cass. 17.3.1993, n. 3146; Cass. 4.3.1993, n. 2596; Cass. 17.5.1996, n. 4598) la Corte d'Appello rammenta che la procedura di cui all'art. 7 della legge n. 300/70 deve applicarsi ad ogni licenziamento che sia "ontologicamente disciplinare" anche se riferito ad un comportamento extra-lavorativo (Cass. 22.8.1997, n. 7884; cfr. pure Cass. 15.1.1997, n. 360) estendendosi l'obbligo di fedeltà anche a comportamenti che per loro natura e per le loro conseguenze appaiano in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa (Cass. 3.11.1995, nn. 11437; cfr. pure Cass. 8.10.1998, n. 9976). Per questo motivo la Corte - non ravvisando, tra l'altro, elementi contrari nella contrattazione collettiva - ha accolto il primo motivo d'appello ritenendo illegittimo il licenziamento formalmente comunicato nel novembre 1998 per violazione dell'art. 7 legge n. 300/1970. Pur considerando assorbente tale argomentazione, i giudici bolognesi hanno anche censurato la condotta della Società che, pure essendo a conoscenza dei fatti posti a fondamento del licenziamento fin dal febbraio del 1998, hanno atteso nove mesi per intimarlo. Salvo poi - e qui l'Ente Poste incappa in un'ulteriore censura - attendere sino al febbraio 1999 prima di portare ad esecuzione il proprio recesso, corrispondendo sino a tale data un regolare stipendio a fronte di un'ininterrotta prestazione lavorativa. Richiamando la giurisprudenza del Supremo Collegio in tema di tempestività, la Corte d'Appello rammenta che l'immediatezza della reazione datoriale al "fatto" del lavoratore può ritenersi elemento costitutivo dell'ipotesi di recesso per giusta causa ( Cass. 5.3.2003, n. 3245; Cass. 28.9.2002 n. 14074; Cass. 25.7.1994, n. 6903). La Corte ha infine censurato la decisione del primo giudice per non aver considerato la prosecuzione del rapporto una revoca tacita: secondo la Corte di Cassazione, infatti, la spontanea ricostruzione del rapporto di lavoro sciolto a causa di licenziamento illegittimo non richiede forme solenni, come risulta dall'art. 1350 c.c. onde può ben essere realizzato attraverso fatti concludenti (Cass. 19.6.1993, n. 6837; cfr. pure Cass. 18.11.1997, n. 11467; Cass. 6.8.1999, n. 8493) e non può attribuirsi alla parte recedente la facoltà di determinare il momento di produzione degli effetti del recesso in data diversa da quella già indicata con la comunicazione al lavoratore (Cass. 28.10.1997, n. 10624; cfr. pure Cass. 23.6.2003, n. 9973). Quindi il successivo allontanamento verbale della dipendente dal posto di lavoro ha configurato un nuovo licenziamento, inefficace ai sensi del terzo comma dell'art. 2 della legge n. 604/1966 perché intimato oralmente